Il ponte rosso - 1989
  Collezione privata

 

  Le due piazze - 2002

 

  Grande cattedrale - 1998 
  Collezione privata

 

  Grande cattedrale grigia - 1991 

 

  Pausa con luna - 2007 

 

  Il sogno del gruista - 2004 
  Collezione privata

 

  Ex equo - 2000 
  Collezione privata

 

  Hotel Lola - 2007 
  Collezione privata

 

  Paesaggio rosso - 2003 
  Collezione privata

 

  Bandoneon - 2003 
  Collezione privata

 

Copertina e libretto CD musicale  
  Bandoneon - 2003 
  Collezione privata

 

  Musica e architettura - 2003 

 

  Ex equo - 2000 
  Collezione privata

 

     

 

 

     
     
   

 

Introduzione e commento critico Prof. Roberto Mutti

Un paio di calzoni blu
Ci sono molti modi per osservare il mondo ma quando lo si fa usando come occhio una macchina fotografica bisogna farsi guidare da una scelta precisa perché i frammenti di vita in cui ci si imbatte non possono rimanere tali ma devono essere accostati in una visione d’assieme. Esattamente come succede alle singole parole che, per quanto piacevoli, da sole possono talvolta dire anche qualcosa di interessante ma solo quando sono messe assieme fino a comporre una frase riescono a esprimersi compiutamente. Sono considerazioni che vengono in mente di fronte alle sequenze di opere realizzate da Gianluigi Serravalli nei luoghi più disparati dove il suo sguardo si è posato con la curiosità che da sempre lo contraddistingue come autore e come persona. E’ l’ironia però l’elemento che costituisce il legame più palese fra le sue fotografie e questo già si evidenzia nelle singole immagini: quella dove un tronco d’albero tagliato e poggiato a terra può assumere le impreviste fattezze di un vitalissimo cinghiale oppure quella che riprende da dietro e in soggettiva le teste ravvicinate di un uomo e una donna con i lunghi capelli di entrambi che si confondono intrecciandosi mossi dal vento come in una metafora della vicinanza. Quando poi alcune fotografie hanno l’occasione di stabilire fra di loro un dialogo, l’elemento ironico emerge con maggior forza. Da questo punto di vista la presentazione in un libro come questo è un’ottima occasione per sottolineare tale caratteristica perché il confronto viene favorito dalla contiguità di due pagine che si fronteggiano aperte permettendo così allo sguardo dell’osservatore di condividere con immediatezza la visione suggerita dall’autore. Lo si vede fin da subito dall’incipit: il grande occhio che domina la facciata di un palazzo, sarebbe già di per sé una visione sorprendente ma questa è sottolineata e ribadita ancor più se si insegue quello sguardo che sembra oltrepassare i contorni della fotografia fino a posarsi sull’immagine vicina che ci offre un’ulteriore occasione di stupore con quel cavallo che, con disinvolta noncuranza, si affaccia alla finestra. Come si può già osservare, l’ironia di Serravalli è spesso attraversata da venature di una gioviale inquietudine come nell’immagine di una donna che dà le spalle a una scena bizzarra dominata dalle gambe di un bambino che spuntano da una poltrona sotto cui, chissà perché, si è infilato. L’uso del bianconero consente all’autore di muoversi con disinvoltura nell’ambito dell’imponderabile, stabilendo uno strano rapporto fra le diverse posture che avvicinano i corpi umani a quelli delle statue. Talvolta sembra che le due entità condividano le identiche gestualità anche se la figura in marmo quando accosta la mano al capo non lo fa certo, come l’uomo in primo piano, per rispondere al telefono e lo sguardo bronzeo della donna non è, come sembra, attratto dallo schermo di uno smartphone anche se proprio questa è stata la prima impressione che abbiamo ricevuto osservando le riprese. Questo dialogare muto si anima in modo strano e per una ragazza che sembra indicare qualcosa a una figura maschile marmorea, c’è un giovane i cui esercizi ginnici suscitano la curiosità di una bronzea fanciulla. Ma poi, improvvisa, appare un’immagine che nella sua pulizia formale induce alla riflessione: riprende un ciclista che corre in un velodromo privo di pubblico e a noi sembra di sentire, nel silenzio di quel luogo deserto, il fruscio delle ruote che scivolano sulla pista a ribadire il fascino che il ciclismo con la sua fatica, con la sua sfida dell’uomo contro i suoi limiti sempre suscita. Pur valendosi del bianconero con disinvoltura, Gianluigi Serravalli si trova a suo agio anche quando ricorre al colore che lo accompagna nelle sue visioni giocose come quella di un edificio su cui svetta una grande scritta che pubblicizza la vendita di appartamenti: sarebbe una situazione del tutto consueta se non si trovasse su una facciata diroccata dove le finestre si aprono nel vuoto di un cielo azzurrissimo. Poi, insospettati, compaiono i più diversi animali anche se ognuno si colloca in una dimensione anomala: c’è una piccola folla di strani esseri inquietanti che sembrano extraterresti ma sono invece conigli scuoiati, c’è un leone che fa la guardia ai bagagli appena scaricati da un taxi e pazienza se è di pietra e quindi poco affidabile, c’è un piccione che osserva un suo omologo costruito in plastica rossa e forse si chiede se è un intruso entrato nel suo territorio, E infine è il turno degli uomini e del loro agire all’interno dei luoghi d’arte. Una coppia di fronte a un’opera concettuale ascolta le audioguide ma noi di primo acchito abbiamo la sensazione che si stiano telefonando perplessi. Un gruppo numeroso si avvicina a un grande quadro e lo schiacciamento prospettico creato dalla ripresa del fotografo fa in modo che le figure reali e quelle dipinte si confondano fra di loro in un’unica folla. E infine c’è lui, un uomo che, solitario, si gode un’opera monocroma esposta, unica, su una lunga parete in un sottinteso dialogo con il pavimento che ne riprende la stessa tonalità blu. Forse quell’uomo è la proiezione del fotografo e, perché no, di tutti noi che vorremmo ogni tanto fermarci, riflettere davanti a un’opera d’arte e accettare in silenzio che il suo fascino ci pervada. E fa niente se non ci siamo accorti di indossare un paio di calzoni blu.
 

Patrick Henrard
Docente di lingua e letteratura francese
Università Bicocca Milano

marzo
2013

Artista solido, tra Boccioni, Carrà, Turner, Grosz, Monet prima delle ninfee...
Intrichi, grovigli, come risultato scadente dell'agire umano, come paesaggio esterno dell'interiorità aggrovigliata dell'umana condizione, cerebralità del paesaggio in quanto matassa di sinapsi in disuso, come una cerebralità ormai inutile nella sua complessità perché folle...
Complimenti!
Sono impressionato dalla tua arte vera.

 

Luciano Lepri
Critico d'arte e letterario, storico, poeta e giornalista
giugno
2010

Il pittore milanese sembra muoversi con facilità e piena capacità tecnica nel misterioso e insondabile - ma non per gli artisti - mondo dell'inconscio proponendoci delle immagini, apparentemente legate al naturalismo, che ritraggono quindi luoghi, persone e cose che in realtà non sono altro che simbolizzazioni di condizioni mentali, ambientazioni dalla non celata valenza surreale, dove i luoghi, le persone e le cose divengono veicoli che ci conducono verso spazi lontani ed infiniti a proporre e designare un'impronta psichica che risulta pregna di effusioni poetiche ed intimistiche perché aderisce alle pulsioni dell'anima prospettando una dimensione spaziale che viene cosi sconvolta e trasfigurata.

Giovanni Chiara
Scrittore
maggio 2010

UN MONDO DI PITTURA CHE E’ MUSICA
Gli artisti sono creatori di mondi. Certo, a volte, guardando le loro opere, viene da domandarsi che mondi siano, e nei casi estremi ci si sorprende ad augurarsi che appartengano a galassie lontanissime, e perciò impossibilitate a inviarci abitanti che i prodromi esibiti dall’artista-creatore lascerebbero supporre problematici.
Ma mondi sono, con materia ed energia, forme e colori nati dal vedere, e guardare, e osservare, e filtrare, e interpretare e rielaborare, che l’artista ha fatto sul mondo che lo ha formato facendo divenire, lui uomo, creato e creatore, operante riconoscendo per farsi riconoscere, ex libris di se stesso.
Quello di Serravalli è un mondo popolato da architetture trionfanti o languenti, estremizzate, policrome eppure povere di verde, la natura ormai battuta dall’incalzare delle strutture e perciò quasi assente insieme con il proprio colore dominante.
E’ un mondo che sa di mattoni e cemento e pietre addomesticate e ferro, e spesso di morchia e nafta e polvere di carbone, le sue nebbie che invece sono fumi, i suoi orizzonti che finiscono per essere nascosti da altro esserci dell’uomo che costruisce e innalza, e abbatte e precipita e dimentica, e a volte riedifica.
Il cielo è un pretesto, sfondo denso di aria modificata utile solo a reggere fette di luna spettatrici o languori di un sole in patimento, e l’acqua è il mezzo che deve reggere le forme per essa modellate, e fare da specchio ai mostri portuali che si ossidano nell’uso o nell’abbandono.
Nel mondo tutto architetture di Serravalli c’è anche la musica. E’ musica che si vede, raffigurata, portata dagli strumenti o dal ballo, ma più ancora si sente guardando e scoprendone i ritmi nei ritmi delle forme, e svolgendo le volute della melodia nell’armonia seducente dei volumi. E’ musica intellettuale, situazioni da jazz, sax tenore più che pennello, oppure Paolo Conte, che è jazz criptato, sembra canzonetta ed è cultura; più il bandoneon di Piazzolla, snervante, che vorrebbe essere tango e invece è anima.
Serravalli dipinge cattedrali da sogno o porti da incubo, nel ricordo o nella fantasia, in abbandoni poveri di corposità umana, perché l’uomo artefice, “faber” inimitabile e insidioso per tutto ciò che lo circonda, compare secondario rispetto alle proprie opere, aristocratico e insieme parvenu del mondo. I quadri di Serravalli, quindi, declinano figurette, secondarie sì, ma emblematiche.
Sulle donne, però, l’artista cede. Donna essa stessa opera d’arte e perciò rara, ma, quando presente, facilitatrice di un falso maschilismo bonario -ancora Paolo Conte, appunto- volumetrica di certe volumetrie e spesso “scondottata” negli atteggiamenti, tentata e tentatrice; ma donna, creatura del più, superiore, in una pittura leggera e insieme densa che non sa sottrarsi al suo richiamo, e ne prende atto.
Perciò mondo di sogno, questo, e di cose che pulsano nell’anima dell’artista e che l’artista rivela, reali senza esserci, figurativo che inventa le figure filtrando ombre e fantasmi e desideri, pennelli e colori a farlo tangibile, svelando l’anima inquieta e insieme onirica del suo creatore, che mescola al fumo delle ciminiere che trafiggono i cieli delle tele quello del proprio sigaro toscano, come fosse un promemoria.

 

Davide Corsetti
Critico d'arte
febbraio 2010

... Ed è proprio nella dimensione del sogno e della fiaba che concludiamo il nostro percorso in questi suggestivi mondi paralleli, immergendoci nel raffinato immaginario delle opere di Gianluigi Serravalli, entro le quali mondi immaginari riflettono i molteplici volti del mondo reale ridisegnandolo con ironia e poesia.
Rafforzandosi con la pastosità della pittura, l’eleganza del segno e del personalissimo stile, i mondi surreali e favolosi di Serravalli pulsano di vita, di magia, trasportandoci, con la lirica seduzione delle loro atmosfere e dei loro abitanti, in quella dimensione romantica ed affascinante dove i desideri di ognuno possono trovare quella libertà di immaginarsi, di disegnarsi, di dipingersi senza timore, poiché si trova in un luogo lontano dai giudizi, dalle imposizioni e dalle regole del mondo.

 

MALANOVA
dal sito www.malanova.org

L'ultimo lavoro Non Iabbu e non maravigghia contiene 13 brani che manifestano una padronanza degli strumenti capaci di dialogare con leggerezza e dalla melodia ben condotta e sostenuta dalle voci.
Si raccontano storie di meraviglia, di povertà, d'amore carnale, di leggerezza, di terra e di sogni, si danza con grazia tra le tante espressioni dei diversi strumenti che si destreggiano con naturalezza in un percorso, complesso, che i Malanova percorrono tra le suggestioni di una Sicilia, terra meravigliosa, e strade moderne ben articolate e ispirate.
Il dialetto come in ogni luogo della nostra lunga Italia è diverso e peculiare e i Malanova si esprimono in una lingua che ha origine dalla Valle della Mela nel messinese. Una menzione speciale al libretto, con traduzione dei testi, contenente suggestive opere pittoriche di Gianluigi Serravalli.
Degnissimi di rappresentare le più alte cime di un etno-folk curato e raffinato, sussurrato, profondo e corale.
leggi tutto ...

 

Giovanni Chiara
Scrittore

Serravalli ama il Novecento e la grande libertà espressiva che caratterizza questo secolo, ma le sue radici sono lontane, il raffinato manipolare materiali, sa di ricerca senza tempo, dalla quale l’artista emerge attraverso un’opera finita che è anche frutto di perizia artigianale nell’utilizzare la materia.
Nei suoi quadri è avido di orizzonti, li traccia sgombri e aerei, o li affolla di strutture sovrapposte, in una trasposizione onirica della realtà dove nulla è lasciato al casuale.
Predilige la polivalenza delle tecniche, che su carta gli permettono minuziosità espressive di grande rilevanza. Quanto ai suoi polimaterici su tavola, vediamo gesso, sabbia, stucco e segatura che sembrano contendersi gli smalti, per formare una corazza di colore, in un insieme perentorio al punto da rifiutare la protezione del vetro, e offrirsi alla luce e al tempo forte del proprio scudo cromatico.
Sono tutte opere che, viste una volta, non si confondono nella memoria con quelle di nessun altro; uniche.

 

Paolo Mariotti
(Corriere della Sera)

Spazi determinati di colore pastoso, spesso, materico, o velature sottili dove la linea è sempre forma e ritmo per rappresentazioni di pura invenzione geometrica dalla chiara intonazione favolistica.
Ora, favole deformate da sottile ironia e velato sarcasmo, o depresse da una scabra fissità, ma sempre filtrate da una immaginazione che non soggiace alla ripetizione di un modulo. Quello di Serravalli è un linguaggio rigoroso, che poggia su una ricerca assidua e consapevole, dove le misture tecniche, sia nella grafica, che nella pittura, sono essenzialmente funzionali all’approfondimento analitico.

 

Antonio Caggiano
(Il Resto del Carlino)

… Gianluigi Serravalli, Ferrarese, insegnante di educazione artistica, con successi come cineasta e nell’area grafica illustrativa, fornisce moduli che oscillano fra uno strumento magico e un surrealismo geometrico di ottima fattura …

 

Giovanni Chiara
Scrittore
Premio Bagutta 2000

Gianluigi Serravalli
Volendo a tutti i costi andare per categorie, ci sono artisti che, come persone, sono decisamente superiori alle loro opere, e questo è un guaio per le opere, oppure inferiori, e qua l’arte si salva, ma sul resto ci potrebbero essere problemi. Poi c’è qualche rarissimo “panda” all’altezza di ciò che produce.
Gianluigi Serravalli è uno di questi, e ogni volta che lo incontro mi stupisco che non sia bianco e nero e grassoccio, e non mangi germogli di bambù.
La sua matrice artistica è raffinata e cromaticamente significativa, sia quando usa tutti i possibili colori della tavolozza, sia quando si infligge notturni bellissimi e struggenti che vien voglia di perdercisi dentro. E’ artista di manufatti, preso nell’irrequietezza di una cultura novecentista in cui l’uomo si cerca per rifondarsi nel gioco delle volumetrie, e con i suoi polimaterici si concede intelligenti auto-ironie oggi purtroppo cadute in disuso.
Siccome qualche difetto cerco sempre di trovarglielo, capita che gli critichi le cornici.
Lui barbuglia con il sigaro fra i denti “Si-si hai ragione”, poi fa quello che gli pare.
A volte glielo perdono a volte no.

 

Giovanni Chiara
Scrittore
Premio Bagutta 2000

Conosco parecchi pittori, c’è gente che dice che per questo motivo dovrei ritenermi fortunato.
Non la penso del tutto così, dipende da come dipingono.
Gianluigi Serravalli è mio amico da vecchia data.
Degli amici è facile dire bene, ma se si è veri amici si può anche dire male.
Serravalli è pieno di difetti come chiunque altro, ma quelli che riguardano la sua attività di pittore fanno venire la bava alla bocca dalla rabbia.
Tanto per cominciare è pigro, terribilmente, maledettamente.
Dipinge come un ossesso, ma la cosa per lui potrebbe finire lì, si accontenterebbe di far scomparire le pareti di casa sotto polimaterici che ritraggono miniere sarde, notturni urbani fascinosi, periferie industriali angoscianti, paesaggi plastici carichi di colore, e, naturalmente, strutture immaginifiche di cattedrali, quella di Ferrara come riferimento dell’affetto. Non sa vendersi.
Potrebbe sembrare pudore, non può non esserlo, ma nasconde ache parecchio orgoglio. E’ artista vero fino all’Ingenuità, che è la santa patrona degli artisti veri, incapace di bluffare, intriso di una cultura mandrillesca e profonda della quale non si compiace, perché, fra gli altri difetti, è anche modesto. Ditemi voi quanta strada potrebbe fare, nel mezzo delle moltitudini di facce di bronzo che popolano il mondo d’oggi, un pittore pigro, orgoglioso, ingenuo e, come non bastasse, modesto. Nessuna, assolutamente; a meno che non fosse bravo come lui.

 

I quadri di Serravalli
visti da Marie-Claire Delamichelle

Mi trovo al cocktail organizzato dalla redazione di "Quattro" e m'imbatto, più frizzante del prosecco che ho nel flûte, nelle ultime opere del pittore Gianluigi Serravalli.
I miei occhi, interessati al suo lavoro, me lo porgono espressionista di gesti, valori, sentimenti reiettati e luoghi caduti nell'oblio: cantieri portuali e fabbriche dismesse.
M'incastra un lieve flash di "Combine Paintings" ispirato a Rauschemberg, ed uno spessore cromatico carico di violenza fauve.
Il mio sguardo è in apprensione sui fili di rossa elettricità ad alta tensione che cercano di rianimare fino all'esasperazione questi valori perduti, in un continuo compositivo che s'infrange nelle sue stesse macchie policrome a volte stemperate in un attimo di respiro, altre volte soffocate, uccise, sotto spessi grumoli, immobili.
Ingabbiature metalliche, ancora elettriche, raggirate dal filo spinato che impedisce il fluire vero e nomade del sé, in conflitto con ogni imposizione, costrizione e condizione.
Osservo l'esuberanza del rivoltarsi, a tratti smorzato dall'interagire delle immagini, delle fasi rosse, spudorate e schiette, sviscerate dal suo profondo sentire libero.
Un'ultima occhiata scrutatrice e mi appresto ad apprezzare il tenace puntiglio dell'artista nello spolverare e sciorinare continuo di queste memorie innalzate nella sua processione interiore, forse introversa sì, ma fortemente marcata in un ciglio di positiva determinazione.
Ah! Dimenticavo.
Provando a strizzarmi entrambi gli occhi, quando la luce torna a delineare lo sfondo delle tele, in particolar modo nelle ultime interpretate, ammorbidite da tratti e toni più rilassati e da lune sospese, mi accorgo di voler sorvolare il fragile adagiarsi su cattedrali gentiliniane, e di cogliere invece, un imprevedibile istinto romantico da "ultimo Chagall".